Dizionario geografico del Regno di Sicilia, 1799
L’Abate don Francesco Sacco, un religioso di grande erudizione, fu professore di storia e geografia presso il reale collegio del Salvatore a Napoli, istituito da Ferdinando IV di Borbone e titolato dallo stesso nel 1789 col titolo di “Università interna”, per distinguerlo dalla “Universita de’ Regj Studj”.
Dal 1795 al 1800, quasi in contemporanea, pubblica due opere geografiche di notevole importanza: la prima, col titolo “Dizionario geografico istorico fisico del Regno di Napoli”, di cui il primo tomo porta la data di edizione del 1795; la seconda opera, dal titolo “Dizionario geografico del Regno di Sicilia”, fu pubblicata in due tomi a partire dal 1799.
Nella prefazione della sua opera sulla Sicilia, l’autore precisa che il suo dizionario è organizzato in maniera sistematica poichè cita la “…Valle, a cui si appartiene la Città, o Terra; e se è Demaniale, oppure baronale. Ne descrive la situazione, cioè se Essa giace sopra un monte, in una pianura, in una valle, ovvero in riva al mare. Ne rapporta la salubrità dell’aria, e fissa quante miglia italiane ciascuna Città, o Terra è distante da Palermo, dal mare, dal Capo del Valle, e dall’equatore. Da’ conto della cattedrali, delle Collegiate, delle Parrocchie, de’ Monisteri, de’ Conventi, de’ Conservatori, de’ Seminari, e de’ Collegi di Scienze, di Arti, e di Manifatture. Finalmente mette in veduta le produzioni de’ particolari terreni; il commercio, che vi si fa de’ proprj prodotti; e ricorda le Antichità superstiti, e le attuali magnificenze, degne di memoria, e di osservazione”. Sempre nella prefazione al primo tomo, l’erudito geografo e storico afferma: “…Ho letto con indefessa applicazione il maggior numero degli Storici delle cose siciliane. Ho visitato quasi palmo a palmo i luoghi, che sono sparsi in tutta la Sicilia.”
Nella descrizione di Adernò l’autore si sofferma maggiormente sulla storia della città, mentre tratta in maniera più sintetica delle caratteristiche geografiche ed economiche del territorio e di alcuni resti di età greca e romana ancora visibili nei dintorni della città, rifacendosi probabilmente nella descrizione di questi al testo famoso del Principe di Biscari del 1789 (Viaggio per tutte le antichità della Sicilia).
“Adernò, Terra nella Valle di Demone, ed in diocesi di Catania, situata alle falde del monte Etna, di aria malsana, e nella distanza di venti miglia in circa dal mare di Catania, e di cento tredici da Palermo. Essa si appartiene con titolo di Contea alla famiglia Moncada de’ Principi di Paternò. L’epoca della fondazione di questa Terra è non men rinomata, che incerta. Alcuni Autori pretendono, che la facesse edificare Dionisio, Re di Siracusa, e che chiamolla Adrano per lo celebre tempio del Dio Adrani ad essa vicino, erettovi dagli antichi Sicoli. Altri scrittori poi vogliono che sia nata dalle rovine della distrutta Adrano senza fissarne con precisione il tempo della sua fondazione. Quel ch’è certo si è, che questa Terra esisteva ne’ tempi de’ Saracini, i quali essendo stati debellati da’ Normanni, il Conte Ruggiero la donò, secondo scrive il Padre Aprile, a Goffredo Normanno, il quale venuto a morte, la tramandò a’ suoi discendenti, che vi dominarono sino alla quarta generazione. Salita al trono della Sicilia la Real Famiglia de’ Re Aragonesi, Federico Secondo ne investì col titolo di Conte Matteo Sclafani, a cui poi succedè Matteo Moncada e Sclafani, come figlio di Margherita, figlia primogenita di Matteo Sclafani, natagli da Bartolomea de Incisa sua prima moglie. Cotesta illustre casa Moncada e Sclafani, ne fu in possesso dal mille trecento sessanta fino al mille cinquecento quarantanove, in cui essendosene morto ab intestato Antonio Moncada, gli succedè l’unico suo erede Francesco Moncada, primo Principe di Paternò, natogli da Giovanna Lionora de Luna sua moglie, e figlia di Sigismondo, Conte di Caltabellotta. Passata la Contea di Adernò in persona di Francesco Moncada, primo Principe di Paternò, questi la tramandò dopo la sua morte al suo figlio primogenito Cesare, natogli da Caterina Pignatelli. Costui morto essendosene nel mille cinquecento settantuno, gli succedè Francesco Moncada, che prese in isposa Maria di Aragona e la Cerda, figlia unica di Antonio, Duca di Montalto. Da questo matrimonio ne nacque Antonio di Aragona, e Moncada, che fu il primo Duca di Montalto della sua prosapia; ed essendosi ammogliato con Giovanna la Cerda, figlia del Duca di Medinaceli, ne nacque Luigi Guglielmo Moncada. Questi si unì in matrimonio con Caterina Moncada e di Castro,, e vi procreò Ferdinando Aragona e Moncada, il quale fu l’ultimo Duca di Montalto dell’illustre famiglia Moncada. Venuto costui alla morte nel mille settecento tredici scrisse per suo testamento erede de’ suoi stati Caterina sua figlia, di già sposata con Giuseppe Toledo, Duca di Ferrantina, ma un tal testamento non ebbe luogo per la legge del fedecommesso (…), ordinato da Gio. Tommaso Moncada, Conte di Caltanissetta secondo acquistatore di questo stato. Quindi in forza del succennato fidecommesso succedè il Duca di San Giovanni, e Principe di Paternò, la cui illustre casa seguita ad essere in possesso col mero, e misto impero.
Ha questa terra un bel Tempio, officiato quotidianamente da un corpo di Canonici insigniti, quindici chiese minori, due Monisteri di monache, un Conservatorio di donzelle povere, uno Spedale per infermi poveri, un Collegio de’ Padri delle Scuole Pie, e quattro Conventi di Frati, il primo di Agostiniani, il secondo de’ Domenicani, il terzo de’ Minori Osservanti, ed il quarto de’ Cappuccini fuori l’abitato.
Il suo vasto territorio è irrigato dalle acque del fiume Adernò, ed i suoi prodotti principali sono grano, orzo, canape, legumi, vino, olio, e cotone. Le sue montagne che si stendono fino alle falde del Mongibello, somministrano pascoli eccellenti, ghiande per ingrasso de’ porci, castagne, e legna da fuoco. Il numero de’ suoi abitanti si fa ascendere a seimila seicento ventitre, i quali vengono governati nello spirituale da un Parroco, e da quattro Cappellani Curati. Il maggior commercio di esportazione, che faccia cotesta Terra, consiste in grano di varj generi, in cotone, ed in canape.
Vicino a questa stessa Terra vi era anticamente il Tempio del Dio Adrano, il quale fu in somma venerazione fra’ Sicoli, e che poi si rese celebre non meno per la magnificenza della sue fabbriche, che per lo numero di mille cani, che stavano alla custodia del di lui Tempio. Essi, come si narra per una antica e favolosa tradizione, si mostravano mansueti co’ veri divoti del falso Nume, e si scagliavano furibondi contra i profani. Oggi tal Tempio più non esiste, ma alcune sue antiche rovine spesso si incontrano da’ contadini, arando la terra. Esistono ancora varj considerabili pezzi delle mura dell’antica Città di Adrano, la cui costruzione è magnifica, essendo essi interamente formati di grosse pietre di lava ben riquadrate, e connesse senza calce. E nell’uscire dall’abitato vi è vicino al Convento de’ Cappuccini un quasi intero sepolcro di robusta costruzione, formato tutto di grosse pietre riquadrate. Nel suo interno dalle parti laterali ha due nicchie per parte da riporvi le olle cinerarie; e nel grosso del muro, ch’è rotto in faccia alla porta, vi è un sarcofago di fabbrica, a cui diversi altri si accostano dalla parte esteriore.”
(Francesco Sacco, Dizionario geografico del Regno di Sicilia, Palermo, 1799)
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